Come orientarsi per la scelta corretta di modello di turbolenza?
di Francesco Grispo
I flussi di un fluido possono essere categorizzati in due classi:
- Flussi laminari: quando non si ha rimescolamento e dissipazione di energia e velocità;
- Flussi turbolenti: quando si è in presenza di una certa oscillazione di una grandezza che può portare ad un rimescolamento ed a una dissipazione.
Questo aspetto è governato da una grandezza molto importante, ossia il numero di Reynolds.
Questo numero, che è un parametro adimensionale, rappresenta il rapporto tra le forze di inerzia del fluido e quelle viscose.
Se le forze di inerzia sono superiori a quelle viscose, allora si ha un elevato rimescolamento, mentre invece se a vincere sono le forze viscose, allora prevalgono gli effetti dissipatori.
I parametri che mette in relazione sono:
- la densità ;
- la velocità del fluido V;
- la dimensione caratteristica L;
- la viscosità dinamica .
A seconda del suo valore e della tipologia di flusso, possiamo trovarci in una situazione di flusso laminare oppure di flusso turbolento.
In tabella sono rappresentati i possibili casi con i relativi valori di riferimento:
Come si vede, a seconda che il flusso avvenga internamente o esternamente, si hanno diversi valori di Reynolds. Si deve solo capire cosa si intende per turbolenza.
Cosa si intende per turbolenza?
Molto spesso si sente dire questa frase: “la turbolenza è la presenza di vorticità all’interno di un fluido”.
Questa definizione, detta in questo modo, è fortemente sbagliata. Vortici e turbolenza sono due aspetti collegati ma staccati.
La turbolenza, nella realtà, altro non è che la fluttuazione di una certa grandezza all’interno del fluido.
Nel grafico è rappresentato il profilo di velocità. Esso è dato dalla somma della velocità media e della fluttuazione della velocità .
Questa fluttuazione genera un rimescolamento delle particelle fluide che, rimescolandosi, possono dar luogo ad una vorticosità che tende a smorzare la grandezza di interesse.
Quindi possiamo dire che la turbolenza genera dei vortici ma non il contrario anche perchè si possono avere situazioni di flusso stazionario con situazioni di vortice.
Gli approcci computazionali
Nel corso del tempo sono stati sviluppati diversi approcci al modo di calcolare la turbolenza. Tra questi i più importanti sono:
- Direct Numerical Simulation (DNS);
- Large Eddy Simulation (LES)
- Reynolds averaged Navier-Stokes simulation (RANS)
Ognuno di questi approcci ha i suoi pro e contro.
Direct Numerical Simulation
L’approccio DNS implementa le equazioni della turbolenza direttamente nelle equazioni di Navier-Stokes. Non vi è nessuna idealizzazione. Per tale motivo questo metodo è solitamente relegato al campo della ricerca e poche volte viene utilizzato nelle applicazioni industriali.
Large Eddy Simulation
L’approccio LES risolve direttamente i vortici più grandi mentre modella quelli più piccoli.
Come metodo risulta più leggero del DNS ma molto spesso ancora troppo costoso per applicazioni pratiche
Reynolds Averaged Navier Stokes
Simile al LES, ma la risoluzione del campo si ferma molto prima e si da più spazio alla parte modellistica.
Nell’immagine qui sotto è molto più chiaro quello che succede. Si assume che i vortici (le fluttuazioni), da grandi diventano piccoli a cascata.
A seconda dell’approccio che si utilizza, si sceglie a che punto effettuare una modellazione matematica del vortice invece che ricercare la sua forma esatta nel campo.
L’approccio DNS risolve tutto il campo nella sua interezza, mentre il LES ed il RANS arrivano fino ad un certo punto e poi approssimano.
Mentre per la parte di campo che viene risolta non vi è nulla da dire (sono le equazioni di Navier-Stokes ad essere risolte), dobbiamo comprendere come viene affrontata la modellazione delle fluttuazioni.
Poiché a livello industriale il RANS è il più utilizzato, in questo articolo parleremo solamente dei possibili modelli di turbolenza che vengono accoppiati con il RANS.
Modelli di turbolenza
Per il RANS il problema viene chiuso modellando il tensore degli sforzi di Reynolds tramite un approccio ad una o due equazioni. Si ottengono quindi:
- Modelli Reynolds-Stress Models (RSM): In questo caso le componenti del tensore sono risolte tramite equazioni del trasporto. Offre notevoli vantaggi in flussi 3D con linee di flusso che si avvitano su loro stesse. I modelli sono complessi e il costo computazionale elevato.
- Modelli Eddy Viscosity: si utilizzano due equazioni basate sulla turbolenza e sulla viscosità. Costo computazionale basso. Utile per quei casi in cui gli sforzi a parete non sono elevati (non si ha distacco della vena fluidica).
Tra i modelli Eddy Viscosity, i più utilizzati (che si trovano maggiormente nei principali software) sono:
- Modello k-eps: modello Eddy Viscosity a due equazioni, ossia l’energia cinetica turbolenta e la dissipazione. La viscosità turbolenta è modellata come prodotto della velocità di turbolenza e della grandezza della turbolenza. E’ un ottimo compromesso tra il costo computazionale e l’accuratezza. ATTENZIONE: se siamo in presenza di flussi che ruotano, distacco di vena fluidica o situazioni simili, questo metodo sbaglia completamente i risultati.
- Modello k-omega: modello Eddy Viscosity a due equazioni, ossia l’energia cinetica turbolenta e frequenza. La viscosità turbolenta è modellata come prodotto della velocità di turbolenza e della grandezza della turbolenza. Perfetto per molti problemi ingegneristici, riesce a modellare meglio i flussi nelle condizioni al contorno, in quanto utilizza delle funzioni di parete (questo argomento sarà trattato in un altro articolo).
- Modello Shear Stress Transport (SST): E’ un modello via di mezzo tra la facilità di convergenza del modello k-eps e l’accuratezza del modello k-omega. Dal primo prende la capacità di riuscire a predire bene il comportamento all’interno del fluido mentre dal secondo la capacità di approssimare il comportamento a parete. E’ difficile da far convergere.
In immagine è spiegato come il modello SST ragiona a livello di zone.
Vediamo adesso i diversi risultati per il modello K-eps e per il modello K-omega. In figura è rappresentata l’energia cinetica di turbolenza. Si ricorda che il flusso, in entrambi i casi, presenta le stesse condizioni al contorno.
Quello che si nota è come il modello k-eps, per quanto sia in grado di convergere molto velocemente, non è in grado di simulare al meglio il distacco del fluido, cosa che il modello SST riesce a fare perfettamente (anche se con problematiche nella convergenza).
Si può quindi dire che l’approccio più conveniente è il metodo RANS con modello k-eps o k-omega a seconda delle applicazioni (che variano a seconda se è o meno presente un possibile distacco di fluido). Nello specifico, un approccio k-eps è ottimale quando lo scopo è solamente lo studio delle portate e non nella interazione con i vari elementi presenti all’interno del dominio mentre il modello k-omega si utilizza quando il focus dell’analisi è sulle modalità con cui il fluido interagisce con le diverse strutture presenti nel dominio fluido.
Ovviamente è da ricordare che la mesh si deve adattare al meglio alle diverse condizioni di parete. Questo è dovuto alla capacità del modello di riuscire ad approssimare lo strato limite che si genera intorno ad un corpo.