Molti cedimenti statici di componenti forniscono un preavviso visibile. Al contrario, un cedimento per fatica non fornisce alcun preavviso evidente: è repentino, catastrofico e pertanto molto pericoloso. Progettare al fine di prevenire cedimenti statici è relativamente semplice, mentre la fatica è un fenomeno molto più complesso e solo parzialmente compreso, oltre ad essere dominato da fenomeni di tipo statistico e quindi necessariamente da supportare con campagne sperimentali.
di Giorgio De Pasquale ed Elena Perotti
Introduzione
Nella maggior parte delle prove riguardanti le proprietà dei materiali legate al diagramma tensione-deformazione, il carico viene applicato in modo statico e graduale, per consentire al provino di deformarsi in condizioni stazionarie. Inoltre, il campione viene portato a rottura, quindi le sollecitazioni sono applicate una sola volta. Questo tipo di test è applicabile in condizioni statiche, che approssimano in modo accurato le condizioni reali a cui molti componenti strutturali e meccanici sono sottoposti.
Tuttavia, spesso si presentano situazioni in cui le sollecitazioni variano nel tempo o fluttuano tra diversi livelli. Ad esempio, una fibra situata sulla superficie di un albero rotante soggetto a carichi di flessione subisce ciclicamente tensione e compressione a ogni rotazione dell’albero. Se, inoltre, l’albero è caricato anche assialmente (come nel caso di un ingranaggio elicoidale), una componente assiale di sforzo si somma a quella di flessione. In questo caso, una tensione è sempre presente in ogni fibra, ma il livello di tensione risulta ora variabile. Questi e altri tipi di sollecitazioni che si verificano nei componenti meccanici producono sforzi definiti come variabili, o ciclici.
Spesso si osserva che i componenti meccanici vanno incontro a cedimento sotto l’azione di sollecitazioni cicliche; inoltre, si osserva che in questo tipo di cedimento, gli sforzi massimi effettivi sono ben al di sotto della resistenza a rottura del materiale e, spesso, addirittura inferiori al limite di snervamento. La caratteristica distintiva di questi cedimenti però consiste nel fatto che le sollecitazioni siano ripetute un numero molto elevato di volte. Per questo motivo, tale cedimento è noto come “cedimento per fatica”.
Quando le parti meccaniche cedono staticamente, in genere sviluppano una deformazione molto pronunciata, poiché la sollecitazione ha superato il limite di snervamento, e il componente viene sostituito prima che si verifichi la frattura vera e propria. Molti cedimenti statici, dunque, forniscono un preavviso visibile. Al contrario, un cedimento per fatica non fornisce alcun preavviso evidente: è repentino, catastrofico e pertanto molto pericoloso. Progettare al fine di prevenire cedimenti statici è relativamente semplice, poiché la nostra conoscenza in merito è ampia. La fatica, invece, è un fenomeno molto più complesso e solo parzialmente compreso, oltre ad essere dominato da fenomeni di tipo statistico e quindi necessariamente da supportare con campagne sperimentali.
Caratteristiche del cedimento a fatica
Una superficie di frattura per fatica presenta un aspetto per certi versi simile a una frattura fragile, poiché le superfici di frattura risultano piatte e perpendicolari all’asse di sollecitazione, senza presenza di restringimento (o “necking”, tipico della strizione duttile statica). Tuttavia, le modalità con cui avviene una frattura per fatica differiscono notevolmente da quelle di una frattura fragile statica e si sviluppano secondo tre stadi distinti.
Gli stadi della frattura
Lo stadio I corrisponde alla nucleazione di una o più micro-fessurazioni (o micro-cricche) causate da deformazioni plastiche cicliche, con propagazione cristallografica che si estende per circa due-cinque grani intorno al punto di origine. Le micro-cricche di questo stadio non sono generalmente visibili a occhio nudo e non sono ancora rilevanti dal punto di vista ingegneristico.
Lo stadio II comporta il passaggio da micro-cricche a cricche, con la formazione di superfici di frattura piatte e parallele, separate da creste longitudinali. Queste superfici, generalmente lisce e perpendicolari alla direzione della massima tensione di trazione, possono presentare bande ondulate scure e chiare note come “beach marks” (segni da spiaggia) o “clamshell marks” (segni a conchiglia), come si può vedere nella Fig. 1. Con l’applicazione del carico alterno, queste superfici fessurate si aprono e si chiudono ciclicamente sfregandosi tra loro, e il loro aspetto varia in base ai cambiamenti dell’intensità o della frequenza del carico stesso, oltre ad altri effetti come, ad esempio, la presenza di agenti corrosivi nell’ambiente.
In ultimo, lo stadio III si verifica durante l’ultima parte della vita del componente, quando il campione presenta una sezione resistente residua così ridotta da non essere più in grado di sostenere il carico, provocando un cedimento istantaneo e improvviso. Una frattura in stadio III può essere fragile, duttile o una combinazione di queste modalità.
La formazione delle fratture
Dalle configurazioni delle fratture in un cedimento per fatica si possono ricavare molte informazioni. Per esempio, in Fig. 2 si vedono le caratteristiche qualitative di alcune superfici di cedimento a fatica di vari componenti geometrici sottoposti a carichi differenti (sollecitazioni alterne oppure rotanti).
Quindi, come abbiamo detto, il cedimento per fatica è causato dalla formazione e propagazione di cricche. Una cricca di fatica si innesca generalmente in corrispondenza di una discontinuità del materiale, dove la sollecitazione ciclica è massima. Le discontinuità possono derivare da alcune particolari condizioni:
- presenza di bruschi cambiamenti di sezione (cave di chiavette/linguette, sedi guarnizioni, fori, etc.), in cui si verificano concentrazioni di tensione;
- presenza di elementi che rotolano e/o scorrono uno contro l’altro (cuscinetti, ingranaggi, camme, ecc.) sotto elevate pressioni di contatto, sviluppando tensioni di contatto concentrate al di sotto della superficie, che possono causare sfaldamento del materiale dopo molti cicli di carico;
- imperfezioni nel processo di fabbricazione, come segni di punzonatura, segni di utensili, graffi, bave, assemblaggi impropri e altri difetti di produzione;
- imperfezioni nella composizione del materiale, derivanti ad esempio da processi di laminazione, forgiatura, fusione, estrusione, trafilatura, trattamento termico, ecc. Tali imperfezioni sono rappresentate da discontinuità superficiali microscopiche come inclusioni di materiali estranei, segregazione di leghe, vuoti, particelle dure precipitate e altre discontinuità del reticolo cristallino.
Diverse condizioni possono accelerare l’iniziazione delle cricche, come la presenza di sollecitazioni residue di trazione, temperature elevate, cicli termici, ambienti corrosivi e cicli ad alta frequenza.
La velocità e la direzione di propagazione delle cricche di fatica sono principalmente governate dallo stato di tensione locale e dalla struttura del materiale intorno alla cricca stessa. Tuttavia, come per la loro formazione, anche per la propagazione delle cricche rivestono un ruolo importante anche altri fattori, come l’ambiente esterno, la temperatura e la frequenza. Come accennato, le cricche tendono a crescere lungo piani perpendicolari alle massime tensioni di trazione.
Approccio alla progettazione per fatica
Come evidenziato nella sezione precedente, anche nei casi di carico più semplici esistono numerosi fattori da considerare. I metodi di analisi del cedimento per fatica rappresentano una combinazione tra ingegneria e scienza. Anche se la scienza non ha ancora completamente spiegato il meccanismo del cedimento per fatica, l’ingegnere deve comunque progettare componenti che non vadano incontro a cedimento. Rispetto alla progettazione statica, nella progettazione a fatica ci sono molti più fattori da considerare: vediamo gli approcci principali e gli strumenti utilizzati.
Metodi “Fatigue-Life”
Questi approcci di progettazione a fatica consento di prevedere se e quando un componente sottoposto a carico ciclico andrà incontro a cedimento per fatica in un determinato periodo di tempo. I presupposti di ciascun metodo sono molto diversi, ma ciascuno contribuisce alla comprensione dei meccanismi legati al cedimento per fatica. Tra questi i più usati sono il metodo “stress-life” e il metodo “strain-life”.
Resistenza a Fatica e Limite di Resistenza (Sezioni 6–7 e 6–8)
Il diagramma tensione-durata di vita (anche detto “diagramma S-N”) fornisce la resistenza a fatica Sf in funzione del numero di cicli di sollecitazione N per un dato materiale. I risultati sono ottenuti da test su campioni standard sottoposti a carico alterno, in condizioni di laboratorio controllate. Il carico utilizzato è spesso quello di una flessione pura sinusoidale inversa (anche detta flessione alterna simmetrica). I campioni sono lucidati e privi di intagli che possano causare concentrazioni di tensione nella zona a sezione ridotta dove la frattura per fatica deve verificarsi.
Per acciai e ghise, il diagramma S-N evidenzia un asintoto orizzontale oltre un certo numero di cicli. La resistenza in questo punto è definita come tensione limite di fatica e si verifica generalmente tra 106 e 107 cicli. Molti materiali non ferrosi invece non presentano un limite di fatica, come ad esempio molte leghe di alluminio.
Ovviamente, i dati di resistenza raccolti da queste prove di laboratorio sono basati su molte condizioni controllate che non corrisponderanno a quelle di un vero componente in esercizio nel suo ambiente di lavoro. Esistono quindi opportune tecniche per “correggere” i valori ottenuti in laboratorio con quelli che si prevede rappresenteranno i dati reali, per tenere conto delle differenze tra le condizioni di carico “provino” e quelle del “componente”.
Il metodo “stress-life”
Con questo metodo, per determinare la resistenza dei materiali sotto carichi di fatica, i campioni vengono sottoposti a forze cicliche di intensità specifica, mentre si contano i cicli fino al cedimento. Il dispositivo di prova più ampiamente utilizzato in questo caso è una macchina per flessione rotante ad alta velocità che sottopone il campione a una flessione pura (senza taglio trasversale) tramite pesi applicati. Il campione, mostrato in Fig. 3, è lavorato e lucidato con estrema cura, con una lucidatura finale in direzione assiale per evitare graffiature circonferenziali. Esistono anche altre macchine per prove di fatica, che consentono di applicare sollecitazioni assiali o torsionali cicliche.
A causa della natura statistica del fenomeno della fatica, per stabilire la resistenza di un materiale sono necessari numerosi test. Nel test a flessione rotante, per esempio, viene applicato un carico di flessione costante e si registra il numero di rotazioni del provino necessarie a provocarne il cedimento. La prima prova viene eseguita a una tensione leggermente inferiore alla tensione di rottura ultima del materiale, mentre la seconda a una tensione inferiore rispetto alla prima. Il processo continua, e i risultati ottenuti vengono rappresentati in un diagramma S-N del tipo di Fig. 4. Questo grafico può essere tracciato in scala doppio-logaritmica. Per i metalli ferrosi e le leghe, il grafico diventa asintotico dopo un certo numero di cicli.
I diagrammi S-N possono essere determinati sia per un provino da laboratorio sia per un elemento meccanico reale. Anche quando il materiale del provino e del componente sono identici, si presentano differenze significative tra i due diagrammi.
Nel caso degli acciai, si osserva un punto di “ginocchio” nel grafico; per carichi inferiori a questa tensione, detta limite di fatica, il cedimento non si verifica, indipendentemente dal numero di cicli. I metalli e le leghe non ferrose non raggiungono mai un asintoto orizzontale, quindi, tali materiali non possiedono un limite di fatica. Il diagramma S-N si ottiene generalmente con cicli di sollecitazione completi (alterni simmetrici). Un ciclo di sollecitazione (N = 1) rappresenta l’applicazione e la rimozione del carico, seguite dall’applicazione e rimozione del carico nella direzione opposta. Quindi, N = 1/2 indica che il carico è applicato una volta e poi rimosso, come nel caso di una prova di trazione semplice.
Le considerazioni sul cedimento per fatica da N = 1 a N = 1000 cicli è classificata come “fatica a basso numero di cicli” (o “fatica oligociclica”). La fatica ad “alto numero di cicli”, invece, riguarda i cedimenti relativi a sollecitazione superiori a 103 cicli. Nella Fig. 4 si distinguono una regione di vita finita e una regione di vita infinita. Il confine tra queste regioni non è chiaramente definibile, per gli acciai si trova approssimativamente tra 106 e 107 cicli. Come già osservato, è buona pratica ingegneristica eseguire un programma di test sui materiali destinati alla progettazione e alla produzione. Questo, in effetti, è un requisito indispensabile per prevenire il rischio di cedimento per fatica.
Il metodo “strain-life”
Si tratta del metodo più avanzato per descrivere la natura del cedimento per fatica. Questo approccio può essere utilizzato per stimare le resistenze a fatica, anche se richiede l’introduzione di numerose approssimazioni e ipotesi, che introducono inevitabili incertezze nei risultati. Tuttavia, il metodo è molto significativo per la sua capacità di rappresentare la natura del cedimento per fatica.
Come abbiamo detto, un cedimento per fatica ha quasi sempre origine in una discontinuità locale, come un intaglio, una fessura o un’altra area di concentrazione delle tensioni. Quando lo sforzo in prossimità della discontinuità supera il limite elastico, si verifica una deformazione plastica. Perché si manifesti un cedimento per fatica, devono esistere deformazioni plastiche cicliche. Quindi, è necessario studiare il comportamento dei materiali soggetti a deformazioni cicliche.
E’ stato dimostrato sperimentalmente a inizio ‘900 che il limite elastico di ferro e acciaio può essere modificato, sia in aumento sia in diminuzione, da una variazione ciclica della tensione. In generale, i limiti elastici degli acciai ricotti tendono ad aumentare quando sono sottoposti a cicli di sollecitazione, mentre per gli acciai lavorati a freddo tendono a diminuire.
Sono stati studiati i comportamenti a basso numero di cicli di molti acciai ad alta resistenza, registrando diversi grafici tensione-deformazione in campo ciclico. La Fig. 5 mostra l’andamento generico di questi grafici, limitatamente ai primi cicli di carico. Come si vede, la resistenza diminuisce con le ripetizioni dei cicli di tensione, come dimostrato dal fatto che le curve mostrano livelli di tensione progressivamente minori. Come notato in precedenza, altri materiali possono invece essere rafforzati da inversioni cicliche di tensione.
A seguito di questi studi, è stato correlato il dato di vita del componente all’ampiezza della deformazione imposta. Questa correlazione è riportata nel grafico di Fig. 6, in questo caso relativo ad un acciaio laminato a caldo. Per interpretare il grafico, definiamo innanzitutto i seguenti termini:
- Coefficiente di duttilità a fatica : è la deformazione reale corrispondente alla frattura in una singola inversione (punto A in Fig. 5). La linea di deformazione plastica in Fig. 6 inizia da questo punto.
- Coefficiente di resistenza a fatica : è la tensione reale corrispondente alla frattura in una singola inversione (punto A in Fig. 5). Nella Fig. 6, la linea di deformazione elastica inizia in corrispondenza di , con modulo elastico del materiale.
- Esponente di duttilità a fatica : è la pendenza della linea di deformazione plastica in Fig. 6 ed è l’esponente a cui la durata di vita 2N deve essere elevata per essere proporzionale all’ampiezza della deformazione plastica reale. Se il numero di inversioni di tensione è 2N, allora N rappresenta il numero di cicli.
- Esponente della resistenza a fatica : rappresenta la pendenza della curva di deformazione elastica ed è l’esponente a cui la durata di vita 2N deve essere elevata per essere proporzionale all’ampiezza della tensione.
Dalla Fig. 5 osserviamo che la deformazione totale è la somma delle componenti elastica e plastica. Pertanto, l’ampiezza della deformazione totale corrisponde alla metà del range totale di deformazione:
L’equazione della curva di deformazione plastica nella Fig. 6 è:
L’equazione della curva di deformazione elastica è:
Da qui, combinando con l’Eq. (1), otteniamo per l’ampiezza della deformazione totale:
che rappresenta la relazione di Manson-Coffin tra vita a fatica e deformazione totale. Anche se l’Eq. (4) è valida per calcolare la vita a fatica di un componente quando sono note la deformazione e le caratteristiche cicliche, la sua utilità per il progettista è limitata. Non si dispone infatti di un metodo standard per determinare la deformazione totale alla base di una tacca o di una discontinuità. Tuttavia, grazie all’impiego di metodi di modellazione numerica agli elementi finiti, è possibile ottenere stime attendibili di questi valori. Inoltre, l’analisi agli elementi finiti può fornire una stima delle deformazioni che si verificano in tutti i punti della struttura analizzata.
Effetti influenti su limite di fatica
Le tensioni residue possono influire sul limite di fatica in modo migliorativo o peggiorativo. In generale, se sulla superficie del componente sono presenti tensioni residue di compressione, il limite di fatica risulta incrementato, quindi, si osserva un effetto benefico sul comportamento a fatica. Le rotture per fatica si manifestano generalmente come cedimenti per trazione, o quantomeno sono indotti da tensioni di trazione. Di conseguenza, qualsiasi operazione che riduca tali tensioni tende a diminuire la probabilità di cedimento per fatica. Trattamenti come la pallinatura, la martellatura o la laminazione a freddo introducono tensioni di compressione superficiali che incrementano significativamente il limite di fatica, a patto che il materiale non venga sottoposto a deformazioni eccessive.
Il limite di fatica di componenti realizzati da lamiere o barre laminate o trafilate, così come quello di pezzi forgiati, può essere influenzato dalle caratteristiche direzionali del processo produttivo. Ad esempio, i pezzi laminati o trafilati mostrano un limite di fatica nella direzione trasversale che può essere inferiore del 10-20% rispetto a quello nella direzione longitudinale.
In presenza di corrosione, è risaputo che i componenti manifestano una resistenza a fatica ridotta. Ciò è dovuto principalmente all’azione degli agenti corrosivi che provocano irregolarità o piccole cavità sulla superficie del materiale. Tuttavia, in questi casi, il problema non si riduce semplicemente alla rilevazione dell’entità della corrosione, ma piuttosto è rappresentato dal fatto che corrosione e sollecitazioni agiscono simultaneamente. Questo implica che, in condizioni di atmosfera corrosiva, un componente sottoposto a sollecitazioni cicliche andrà incontro a cedimento inevitabile, poiché in tali condizioni non esiste un vero e proprio limite di fatica. Pertanto, il progettista deve ridurre la presenza di effetti che possono causare cedimenti prematuri, fra i quali possiamo citare:
- presenza di tensione media o statica: tensioni permanenti che si combinano con le sollecitazioni cicliche;
- intensità della tensione alternata;
- concentrazione dell’elettrolita: legata alla presenza di agenti chimici che accelerano la corrosione;
- ossigeno disciolto nell’elettrolita: l’ossigeno amplifica i fenomeni corrosivi;
- proprietà e composizione del materiale: materiali diversi mostrano resistenze differenti alla corrosione e alla fatica;
- temperatura: valori elevati possono accelerare i processi corrosivi e influire negativamente sulla resistenza a fatica;
- frequenza del carico ciclico;
- velocità di flusso di fluidi attorno al componente: flussi rapidi possono incrementare la corrosione per erosione;
- presenza di fessurazioni locali: cricche o imperfezioni fungono da punti di innesco per la corrosione e i cedimenti per fatica.
Altri fattori che influenzano il comportamento a fatica
I rivestimenti metallici, come la cromatura, la nichelatura o la cadmiatura, possono ridurre il limite di fatica fino al 50%. In alcuni casi, la diminuzione della resistenza è così significativa da rendere sconsigliabile un eventuale processo di electroplating. Al contrario, la zincatura non ha effetti negativi sulla resistenza a fatica. Per quanto riguarda l’ossidazione anodica delle leghe leggere, essa può ridurre i limiti di resistenza a flessione, mentre non influisce sui limiti di resistenza a torsione.
Analogamente, processi di metal spraying (“spruzzatura di metalli”) crea imperfezioni superficiali che possono innescare cricche. Test limitati indicano che questo processo può ridurre la resistenza a fatica fino al 10-15%.
Inoltre, quando il danneggiamento per fatica è dipendente dal tempo, si manifesta una correlazione con la frequenza di sollecitazione. In condizioni normali, il cedimento per fatica è indipendente dalla frequenza, ma essa diventa rilevante in condizioni particolari, ad esempio in presenza di corrosione o di alte temperature (o di entrambi gli effetti combinati), diventa cruciale. Frequenze più basse, associate a temperature elevate, accelerano la propagazione delle cricche, riducendo la vita utile del componente per un determinato livello di sollecitazione.
La corrosione da fretting si verifica a causa di micro-scorrimenti tra parti o componenti accoppiati con tolleranze ridotte. Esempi tipici sono le giunzioni bullonate, le piste di rotolamento dei cuscinetti, i mozzi di ruote e altri componenti di precisione analoghi. Questo fenomeno comporta decolorazioni superficiali, formazione di cavità e successivo cedimento per fatica. Il progettista deve affrontare questi aspetti con strategie adeguate, come l’uso di materiali resistenti alla corrosione, trattamenti superficiali protettivi e controllo delle condizioni effettive di lavoro.