“La Transizione 5.0 rischia di essere parzialmente efficace, così come è accaduto con il piano Industria 4.0. In linea di principio è una buona cosa, perché parliamo della visione strategica di riduzione dei consumi, ed è positiva in assoluto come lo era l’idea alla base del 4.0. Tuttavia, nell’applicazione il rischio è che non si abbiamo gli effetti sperati: l’applicazione pratica del piano 4.0 non ha fatto aumentare la produttività così come ci sarebbe stato da aspettarsi; un’applicazione non corretta e consapevole della transizione 5.0 non renderà l’industria green”.
Questo è quanto ha detto Corrado La Forgia, vicepresidente di Federmeccanica, con delega alla Transizione Tecnologica ed Ecologica, nonché direttore generale della Vhit di Offanengo.
di Sara Gonizzi Barsanti
Un po’ di storia
L’industria 1.0 è stata importante. L’energia del vapore, le macchine tessili, la fusione dei metalli su larga scala a basso costo e altro ancora hanno innescato cambiamenti radicali nella società. Il passaggio dalla fusione del ferro alla macchina a vapore di Watt ha richiesto circa 3.000 anni. La rivoluzione successiva è arrivata solo 150 anni dopo.
L’industria 2.0 ha spezzato il potere dell’artigiano. Henry Ford ha portato standardizzazione e rigore in interi processi di produzione, controllando costi e qualità assicurando che ogni prodotto di una linea di produzione fosse identico. Gli esseri umani facevano ancora tutto il lavoro, ma la loro capacità di essere creativi è stata gradualmente soppressa a favore di efficienza, coerenza e controllo dei costi. Solo 60 anni dopo, l’elettronica cambiò di nuovo le cose.
Con l’industria 3.0 si iniziarono a sostituire i muscoli delle persone. I robot assunsero una gamma crescente di compiti, sollevando, piegando o saldando con maggiore coerenza (e meno infortuni) rispetto alla forza lavoro umana. I computer e altri sistemi elettronici dicevano ai robot cosa fare e contavano tutto. Solo 50 anni dopo, dati, sensori e intelligenza artificiale cambiarono di nuovo le cose.
L’industria 4.0 iniziò ad aumentare il cervello delle persone. Ha rappresentato un significativo balzo in avanti nel progresso tecnologico nella produzione attraverso i dati, o più precisamente l’interoperabilità tra i sistemi esistenti. Termini come fabbrica intelligente e Internet delle cose sono fortemente legati al concetto. Tuttavia, mentre Industria 4.0 ha avuto un grande impatto sulle operazioni, non è riuscita a collocare le sfide e i recenti sviluppi dell’industria nel contesto di urgenti sfide globali come il cambiamento climatico e la disuguaglianza sociale. Pertanto, mentre molte aziende hanno ancora gli occhi puntati sull’Industria 4.0, sempre più aziende stanno iniziando a guardare verso l’Industria 5.0 e l’agenda globale.
Che cos’è la transizione 5.0
Radicata nella strategia industriale dell’Unione Europea, la transizione all’Industria 5.0 segna un momento cruciale, rappresentando un cambiamento di paradigma verso un futuro industriale più sostenibile, incentrato sull’uomo e resiliente. Mentre si può sostenere che all’interno dell’Industria 4.0 e persino del suo predecessore 3.0, la tecnologia ha aumentato l’efficienza e la sicurezza, il che a sua volta può ad esempio portare a una riduzione degli sprechi e dell’uso di energia, la differenza principale sta nel passaggio da incentivi principalmente economici a una prospettiva più olistica dell’industria come parte di una società più ampia.
L’Industria 5.0 ridefinisce lo scopo dell’industria, ponendo il benessere dei lavoratori e del pianeta in prima linea nel processo di produzione. Questa transizione è guidata da una visione completa, che comprende sostenibilità, circolarità, trasformazione digitale, empowerment dei lavoratori e impatto sociale.
Industria 5.0 in sintesi
Gli obiettivi dell’Industria 5.0 sono multiformi e comprendono un’ampia gamma di obiettivi volti a promuovere resilienza, sostenibilità e centralità umana nel settore industriale. Questi obiettivi includono:
Sostenibilità:
Promuovere modelli di produzione circolari, efficienza delle risorse e riduzione degli sprechi per ridurre al minimo l’impatto ambientale e mitigare i cambiamenti climatici. È importante non considerare la sostenibilità nelle pratiche di produzione come una bella aggiunta, ma considerarla vitale per il successo a lungo termine dell’industria.
Emancipazione dei lavoratori:
Mettere il benessere dei lavoratori al centro del processo di produzione, rafforzandoli attraverso lo sviluppo delle competenze, la formazione e un ambiente di lavoro di supporto. Ad esempio, è fondamentale che le nuove tecnologie vengano sviluppate e introdotte pensando agli utenti, aiutandoli a svolgere al meglio i loro compiti.
Innovazione:
Guidare l’innovazione tecnologica verso obiettivi sociali e ambientali, piuttosto che obiettivi puramente economici. In particolare, gli obiettivi sociali e ambientali non devono essere reciprocamente esclusivi degli obiettivi economici. Nei casi in cui lo sono, siamo destinati a vedere più regole e normative emergere per contrastare questa esclusività.
Resilienza:
Costruire sistemi industriali robusti, adattabili e in grado di resistere alle interruzioni mantenendo pratiche sostenibili. Ciò è diventato sempre più evidente attraverso l’impatto della pandemia di COVID-19 sull’industria.
Responsabilità sociale:
Accogliere la responsabilità sociale d’impresa e le pratiche commerciali etiche per garantire un impatto sociale positivo e valore per gli stakeholder.
I cambiamenti richiesti dalla transizione 5.0
La transizione all’Industria 5.0 richiede un cambiamento fondamentale nel modo in cui le industrie operano e interagiscono con la società e l’ambiente. A differenza dell’Industria 4.0, che si concentra principalmente sull’ottimizzazione dell’efficienza e dei guadagni economici, l’Industria 5.0 enfatizza approcci rigenerativi e restaurativi. Questo cambiamento richiede all’industria di ripensare la progettazione del sistema, riconfigurare le catene di fornitura, concentrarsi sulla trasparenza dei dati e allineare la strategia aziendale con gli obiettivi descritti sopra. Inoltre, l’Industria 5.0 si basa sulla consapevolezza che l’industria non opera in modo isolato e invita quindi gli attori a dare il loro contributo fornendo gli incentivi e gli strumenti necessari per una transizione di successo.
Le tecnologie digitali fungono da abilitatori di modelli economici sostenibili all’interno dell’Industria 5.0. Dall’intelligenza artificiale alle tecnologie di contabilità distribuita, queste innovazioni dovrebbero essere sfruttate per promuovere trasparenza, proprietà condivisa e automazione guidate da principi di resilienza e sostenibilità. Quando si parla di tecnologie digitali è fondamentale non dimenticare un altro obiettivo centrale dell’Industria 5.0: l’emancipazione e il benessere dei lavoratori. Enfatizzando lo sviluppo delle competenze, la formazione e un ambiente di lavoro di supporto, l’Industria 5.0 cerca di attrarre e trattenere i talenti, promuovendo al contempo una cultura di sostenibilità e responsabilità sociale. La tecnologia dovrebbe quindi essere utilizzata e adattata alle esigenze dei lavoratori, assicurando che migliori le loro capacità e accresca il loro contributo ai processi industriali.
Gli incentivi europei per la transizione 5.0
Transizione 5.0 è un programma di incentivi varato con il decreto PNRR, che ha l’obiettivo sostenere la transizione digital and green delle imprese italiane. teso ad agevolare l’efficienza energetica dei processi produttivi, l’autoconsumo di elettricità, l’economia circolare e l’uso efficiente delle risorse. Il Piano prevede risorse pari a 6,3 miliardi di euro, che si aggiungono ai 6,4 miliardi già previsti dalla legge di bilancio, per un totale di circa 13 miliardi nel biennio 2024-2025.
La vera novità è l’introduzione di tre nuovi crediti di imposta per un totale di 6,3 miliardi di euro nel biennio 2024-25, che si sommano al piano transizione 4.0. Mentre quest’ultimo continuerà a incentivare l’acquisto di beni e software 4.0, il 5.0 introdurrà nuove misure per gli investimenti in beni e attività che genereranno risparmi energetici o apporteranno efficienza energetica. I tre crediti in particolare agevolano:
- acquisto di beni strumentali materiali o immateriali 4.0 per 3,78 miliardi di euro
- acquisto di beni necessari per l’autoproduzione e l’autoconsumo da fonti rinnovabili ad esclusione delle biomasse per 1,8 miliardi di euro
- spese per la formazione del personale in competenze per la transizione verde per 630 milioni di euro.
Sono anche ammessi investimenti in nuovi beni strumentali necessari all’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili e spese per la formazione del personale dipendente finalizzate all’acquisizione o al consolidamento di competenze nelle tecnologie per la transizione digitale ed energetica dei processi produttivi.
I problemi nella transizione
La transizione dall’Industria 4.0 all’Industria 5.0 rappresenta un cambiamento di paradigma verso un futuro industriale più sostenibile, incentrato sull’uomo e resiliente. Allineando l’innovazione tecnologica alle esigenze sociali e ambientali, l’Industria 5.0 apre la strada a una prosperità sostenibile per tutti.
L’avvento dell’Industria 5.0 sembra essere basato sul modello Società 5.0, introdotto dal governo giapponese nel 2016, secondo il quale varie tecnologie, tra cui l’intelligenza artificiale, sarebbero state integrate in modo più efficiente nella società. Sulla base di questi principi, la Commissione Europea ha concettualizzato l’Industria 5.0 come qualcosa che enfatizza la reintroduzione del tocco umano nei processi industriali, creando un’industria sostenibile, resiliente e incentrata sull’uomo. Questo modello non solo mira a mantenere il progresso economico e l’avanzamento tecnologico, ma cerca anche di garantire il benessere dei lavoratori, affrontando gli impatti negativi della digitalizzazione.
I principali equivoci della transizione 5.0
Il problema è che mettendo 4.0 e 5.0 uno accanto all’altro ignoriamo che mentre il primo è stato coniato per descrivere un cambiamento reale e osservabile nelle pratiche industriali, basato su progressi tecnologici come IoT e AI, che solleva la possibilità di nuovi modelli di business trasformativi, il secondo viene utilizzato come direzione politica e sociale, cercando di orientare i progressi tecnologici dell’Industria 4.0 verso risultati più in linea con i valori umani e l’equilibrio ecologico.
L’Industria 4.0 è già un terreno fertile per idee sbagliate, gergo, vaghezza e generalizzazione eccessiva, perché si riferisce a diverse tecnologie con diversi stadi di maturità e con una standardizzazione molto bassa, anche in termini di terminologia. Pertanto, l’Industria 5.0 può comportare una deviazione dall’evoluzione in corso e dai guadagni già ottenuti, creando una confusione che può diventare piuttosto controproducente. Inoltre, alcuni dei presupposti per farne un nuovo concetto, in contrapposizione a quello vecchio, sono fondamentalmente sbagliati. È utile evidenziare quelli che potrebbero essere i due principali equivoci con l’Industria 5.0.
- Possiamo avere una quinta rivoluzione industriale prima di averne una quarta. È fondamentale capire che il potere trasformativo di una rivoluzione industriale non si misura in base alla sofisticatezza delle sue tecnologie o al fervore dei suoi sostenitori, ma in base alla sua adozione diffusa e ai guadagni di produttività che offre. In base a questa metrica, l’Industria 4.0 è ben lungi dall’essere una realtà. Sta ancora trovando il suo equilibrio. È una rivoluzione in corso, in attesa di mantenere le sue promesse.
- 5.0 riguarda solo gli esseri umani e 4.0 l’automazione. Il secondo è ancora più importante. Si basa sul presupposto che l’Industria 4.0 si concentri solo su una prospettiva economicista basata sull’automazione e sulla produttività, ignorando la prospettiva incentrata sull’uomo e gli aspetti ambientali.
La riformulazione dell’Industria 4.0
A volte, la cosa migliore è tornare alle basi e capire in cosa consistesse il programma originale dell’Industria 4.0. In sostanza, il vero potere dell’Industria 4.0 sta nel mettere la tecnologia al servizio della personalizzazione e della flessibilità. Ma è ben lungi dall’essere fatto, e tutti i sostenitori e i professionisti dell’Industria 4.0 devono capire che queste innovazioni sono profondamente intrecciate con il tessuto sociale. Mentre implementiamo tecnologie nuove e avanzate, affrontiamo questioni complesse relative alla trasformazione della forza lavoro, all’uso etico dell’intelligenza artificiale e alla sicurezza digitale. Queste non sono solo sfide tecnologiche, ma sfide sociali che richiedono la nostra piena attenzione e premura.
L’Industria 4.0 non riguarda solo macchine e tecnologia; si tratta di persone, culture e società che si adattano a un cambiamento radicale nel modo in cui viviamo e lavoriamo. Solo realizzando appieno questa fase attuale possiamo gettare solide fondamenta per qualsiasi era industriale verrà dopo. L’imperativo di adesso è chiaro: focalizzare, perfezionare e ottimizzare l’Industria 4.0, assicurandosi che mantenga la sua promessa trasformativa per tutti, ovunque.
Definizioni contro realtà
Il termine Industria 5.0 è stato coniato nel 2015 dall’esperto di logistica Michael Rada, che ha basato la sua idea sulla riduzione degli sprechi nella produzione (tempo e materiali) e sul riconoscimento dell’impatto delle tecnologie virtuali sul mondo del lavoro. Quasi certamente l’industria deve riflettere su come la tecnologia e gli esseri umani interagiscono, in particolare per quanto riguarda l’aumento e la realtà virtuale e il ruolo dell’intelligenza artificiale (IA). In realtà, questo non sembra molto diverso dall’Industria 4.0. Ma è dedurre che ciò che è accaduto prima non ha preso in considerazione l’elemento umano e che non è stato realmente in grado di abbracciare nuove tecnologie e modi di pensare, come se fosse in qualche modo una cosa fisica legata a una sedia.
La realtà è che molti produttori sono stati innovativi, spesso aprendo la strada all’automazione e agli strumenti virtuali. Basta pensare ai progressi nei gemelli digitali, alla stampa 3D e all’automazione delle macchine (inclusa la manutenzione predittiva) per rendersi conto di come la produzione sta cambiando.
Per i leader della tecnologia è interessante il fatto che le idee alla base dell’Industria 5.0, le considerazioni ambientali, sociali e di governance (ESG) e l’integrazione di tutti gli aspetti della produzione, siano guidate dalla tecnologia. La gestione dei dati nella produzione, come in tutti i settori, è una necessità crescente che oggi, è più evidente nello sviluppo dei gemelli digitali che possono aiutare le organizzazioni a utilizzare meglio le risorse, ridurre le emissioni di carbonio, ottimizzare le reti di fornitura e trasporto, nonché aumentare la sicurezza dei dipendenti.
La sinergia tra 4.0 e 5.0
Il punto è che il settore deve stabilire delle priorità. Sebbene le strategie cloud debbano venire prima, molte aziende stanno ancora lottando contro problemi economici come l’inflazione. Accelerare le trasformazioni non sembra essere una priorità, eppure è attraverso quell’accelerazione che le organizzazioni hanno maggiori probabilità di trovare opportunità ed efficienze. Il cloud sta sostenendo tutto e sta consentendo progressi nelle tecnologie leader, come i gemelli digitali, e persino pensando a come coinvolgere e abilitare una forza lavoro moderna.
È tutto connesso, che si tratti di tecnologia o di esseri umani, ed è lì che l’Industria 5.0 vuole collocarsi. Tuttavia, il nome di Industria 5.0 è un po’ fuorviante, poiché suggerisce che si tratti di un’altra rivoluzione industriale, come la 4.0. Il problema di questa idea è che l’Industria 5.0 non ha un progresso tecnologico specifico, poiché la maggior parte della tecnologia è già stata coperta da 4.0. Dare un nuovo nome e fingere che sia l’ennesima rivoluzione, sminuisce il valore di tutto ciò che è venuto prima e rischia di far sembrare i vantaggi molto reali per cui si sta tutti lavorando come se stessimo solo inseguendo l’ultima parola d’ordine.
Il difetto originale di Industria 4.0 che trasla sul 5.0
Il meccanismo di Industria 4.0 si è inceppato e non ha dato i risultati sperati. Sono stati acquistati impianti, ma la maggior parte non sono stati connessi. Di conseguenza, il potenziale è andato sprecato.
La dicitura 5.0 dà l’idea di aver completato il piano 4.0 e quindi che sia possibile passare alla fase successiva ma così non è: subito dopo la grande crisi del 2008 l’Europa, sotto la spinta tedesca, aveva cominciato a porsi il problema di consolidare il pilastro della manifattura, generatore di valore aggiunto, profitto e welfare. Da qui nasce l’idea di Industria 4.0, ovvero utilizzare le tecnologie abilitanti digitali per connetter gli impianti, trasformare i dati prodotti in preziose informazioni per il miglioramento continuo e l’utilizzo ottimale degli assets.
L’idea, presentata come quarta rivoluzione industriale, in realtà era la logica evoluzione di quella che era stata definita terza rivoluzione industriale, ovvero i computer sempre più potenti al servizio dei sistemi produttivi ma non connessi tra loro in rete. La piena applicazione di questi principi, la diffusione della cultura del dato avrebbe permesso il passo in avanti ipotizzato. Ma il 4.0 non è andato sempre a buon fine. Chi ha comprato o fatto revamping digitale di impianti, li ha connessi ed elabora proficuamente i dati generati ottenendo un aumento di produttività. Ma nella media, l’obiettivo non è sempre stato centrato perché sono stati acquistati tanti impianti, con un rinnovo del parco macchine, però la produttività è rimasta piatta.
Il meccanismo pare si sia inceppato nel fatto che sono stati comprati nuovi impianti ma non sono stati connessi; quindi, è resta inespresso il potenziale derivante dalla possibilità di far parlare tra di loro le macchine, i cobot, le catene di fornitura: è l’IoT che crea aumento di produttività secondo Industria 4.0 non l’acquisto della macchina in sé.
Il potenziale inespresso dell’Industria 4.0
Diciamo che l’aumento di produttività non è l’unico elemento per valutare il funzionamento di Industria 4.0 ma è un elemento necessario. Peraltro, utilizzare al meglio le tecnologie abilitanti consente di liberare la componente umana da attività a non valore aggiunto e dedicare il tempo alla fase creativa e progettuale.
Il 4.0 avrebbe dovuto finalizzare la gestione di sistema dell’informatica e la digitalizzazione: così non è stato e dovremmo avere la serenità di ammettere che non è stato un successo pieno. Ecco perché parlare di 5.0 può essere perfino fuorviante, perché non abbiamo ancora finito con Industria 4.0.
Industria 4.0 nasce come soluzione dopo un lungo periodo di stagnazione della manifattura italiana, iniziato nel 2008 almeno. La transizione digitale è stata individuata come la principale opzione per ritornare a un percorso di crescita: perché permette un uso più efficiente delle risorse e abilita modelli di business nuovi e profittevoli. C’è sicuramente un ritardo determinato dal fatto che per aumentare l’efficienza dei processi occorrono cambiamenti organizzativi e formazione del personale, ma sicuramente le imprese possono avere gli incentivi fiscali per rinnovare il proprio stock di capitale a prescindere da un preciso piano di sviluppo digitale. I numeri ci dicono anche che l’adozione delle nuove tecnologie si è sviluppata con un forte ritardo delle imprese di minori dimensioni.
Perché transizione 5.0 non sta funzionando
Secondo Assosoftware, in tre mesi sono stati prenotati crediti d’imposta solamente da 324 imprese per appena 99 milioni di euro: l’1,6% degli oltre 6 miliardi di euro disponibili. Uno dei motivi sembrano essere le complesse procedure burocratiche, per esempio nel dover rendicontare un collegamento tra l’adozione di un software e un risparmio energetico. Infatti, anche se un software migliora l’efficienza e il consumo delle risorse, non sempre questo si traduce in un risparmio diretto sulle bollette energetiche, specialmente con l’uso di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale.
Il principale limite del Piano Transizione 5.0 è il fatto che prima di applicare ricette, è necessario investire sulla cultura degli imprenditori. Solo dopo, ha senso ragionare sul trasferimento tecnologico.
Un ulteriore dato da evidenziare sta nel fatto che man mano che aumentano gli investimenti si riduce l’aliquota di credito. E dunque Transizione 5.0 lascia sul campo il problema di crescita dimensionale delle imprese: abbiamo troppe piccole imprese che hanno difficoltà a gestire l’innovazione. A digitalizzare e connettere le macchine, ora c’è l’ulteriore evoluzione di IA che sarebbe uno strumento utilissimo anche nell’ottimizzazione dei consumi. Il trasferimento tecnologico è l’ultimo passo: si dovrebbero usare i centri di competenza per attrarre gli imprenditori e mostrar loro le tecnologie che potrebbero utilizzare.
Le LeSeimprese devono presentare una doppia certificazione, una ex ante sulla riduzione dei consumi conseguibili e una ex post sull’effettiva realizzazione degli investimenti. In particolare, quella ex ante rischia di scoraggiare molto, anche perché avviene nell’assoluta incertezza sulla ricezione futura dei benefici fiscali, a fronte di spese certe legate alla domanda di finanziamento. Un decreto ha previsto un contributo fino a 10.000 euro a favore delle PMI per la copertura delle spese delle certificazioni tecniche ma la misura può non risultare particolarmente efficace.
Fine modulo
Oltre agli oneri burocratici, l’altro elemento che sembra pesare parecchio è il divieto di cumulo con altri incentivi di fonte comunitaria, erogati a livello nazionale e regionale. Le pur buone aliquote previste dal programma Transizione 5.0 possono sembrare non sufficienti se si deve rinunciare a fondi potenzialmente molto elevati (specie quelli amministrati dalle regioni).
Infine, quando si parla di transizione ecologica e digitale si dovrebbe tener presente che sono due fenomeni distinti, che necessitano di strumenti ad hoc. Per questo, appare difficile immaginare che un piano come Transizione 5.0 possa presentarsi efficacemente come il meccanismo principale per accompagnare le imprese, e in particolare le imprese di dimensione più ridotta, nella transizione digitale.